«Le costruzioni della storia»,
scriveva Walter Benjamin, «sono paragonabili a ordini militari che accasermano
e corazzano la vita vera». Anche la storia della narrativa si serve di quelle
costruzioni, poggiandole su un uso totemico di parole in origine provviste solo
di valore empirico come “moderno”,
“modernista”, “postmoderno” ecc.: così la vitalità entropica dell’esistente
viene costretta dentro disegni funzionali e mortificanti. Apertura,
divagazione, discontinuità, pluralità: questi i lasciapassare usati nel
presente volume per addentrarsi nella storia della narrativa statunitense degli
anni 1984-2014. Contro le costruzioni
militari della storiografia vengono mobilitati «il moto di piazza
dell’aneddoto», che «ci avvicina le cose nello spazio, le fa entrare nella
nostra vita», e un dialogo serrato tra portatori di linguaggi eterogenei ma
irreversibilmente contaminati gli uni con gli altri: romanzieri (DeLillo, Roth,
Pynchon, Updike, Vonnegut, McCarthy, Auster, McInerney, Ellis, Wallace,
Franzen, Lethem, Foer, Chabon, Palahniuk, Eggers, Eugenides, Sedaris, Ferris),
narratologi (Ricoeur, Brooks), culturologi/mediologi (Lyotard, Turkle, DiNucci,
Bolter, Grusin), artisti (Haring, Estes, Viola), graphic novelist (Eisner),
fotografi (Prince, Sherman, Gonzalez-Torres), registi (Altman, Schepisi,
Cronenberg, Lynch, Van Sant, P.T. Anderson, Malick, Nolan, R. Scott, Haynes,
Jonze e gli outsider Leone e Wenders), net artist (Jodi), autori di serie tv (Star,
Abrams, Lindelof, Ball), informatici/nerd (Jobs, Berners-Lee, Zuckerberg) e
videogame designer.