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La frana di Tsakona nella regione del
Peloponneso, in Grecia
Nel febbraio del 2003, un movimento franoso complesso
consistente in uno scorrimento rotazionale profondo accompagnato
da uno scivolamento superficiale provocò una delle maggiori frane
che abbiano interessato un tratto di autostrada in Grecia.
Una serie di indagini geotecniche condotte tra il 2000 e il 2001,
dunque prima dell’evento catastrofico, avevano già messo in luce
una zona in lenta deformazione, lunga circa 680 m e del volume di
2.500.000 m3. I materiali mobilizzati erano per lo più costituiti da
depositi superficiali (compresi terreni di riporto e parti di rilevato),
mentre i movimenti profondi si sviluppavano per lo più all’interno
della parte alterata di una formazione flyschoide a profondità
variabili tra circa 20 m e 35 m. Benché la velocità di spostamento
fosse molto ridotta, non è stato possibile evitare un processo di
accelerazione in un contesto modificato da una combinazione di
processi geologici e interventi antropici. Nel caso della frana di
Tsakona, una stagione particolarmente umida ed eccessivamente
protratta ha costituito con molta probabilità il fattore scatenante di
una situazione in condizioni di stabilità già precarie.
L’evento principale si verificò nel febbraio 2003 espandendo i
limiti della frana fino al letto del fiume, e bloccando localmente
il flusso dell’acqua. In particolare, circa 200 m di carreggiata
scivolarono per circa 100 m in piano e 40m in verticale. A questo
stadio, il materiale franoso raggiunse i 1050 m di lunghezza e
6.000.000 m3 di volume. I movimenti, dopo la fine dell’evento
principale, furono trascurabili. L’articolo prende in esame i diversi
processi naturali e le interazioni con l’attività antropica che
hanno interessato la stabilità del versante. Per quanto riguarda
gli interventi di stabilizzazione, si è ritenuto che una deviazione
rispetto all’area di frana tramite una galleria attraverso la
montagna o l’attraversamento in viadotto dell’area stessa, avrebbe
assicurato condizioni di sicurezza sufficienti a un costo accettabile.
Alla fine si è optato per l’attraversamento in viadotto.
In February 2003 a complex movement of a deep translational slide accompanied by a surficial soil flowing movement caused one of the largest motorway landslides in Greece. Geotechnical investigations in 2000-2001, before this catastrophic event, had already revealed a soil slope deformation, of about 680 m length and 2.500.000 m3 volume, moving at a slow rate. The moving materials were mainly surficial deposits (including embankments and fills), while the deep movements were developing mainly within a weathered flysch above the flysch bedrock, at depths varying from about 20 m to 35 m. Although the displacement rate was low, acceleration could not be avoided in this environment, modified by a combination of geological processes and manmade interventions. In the Tsakona case, a prolonged very wet season most probably provided the final trigger of an already precarious stability condition. This major event occurred in February 2003 and expanded the limits of the landslide down to the riverbed, locally blocking the river flow. Notably, about 200 m of the carriageway slipped for approximately 100 m in plan and 40 m vertically. At this stage, the landsliding material amounted to 1050 m length and 6.000.000 m3 volume. Movements were negligible after the end of the major event. This paper examines the various natural processes and manmade interactions that affected the stability of the slope. Concerning the remediation works, a deviation from the landsliding area via a tunnel through the mountain or going over the landslide with a bridge, would provide sufficient safety at an acceptable cost. The bridge solution was finally adopted. Keywords: landslide; reactivation; residual; slide; slope deformation.
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