La sua riforma consiste nell’aver attaccato un lampadare (ninfa) alla volta del suo teatro [...]. Ma persone sapute in questa faccenda affermano che la vera riforma di don Libertu consiste particolarmente nella corazza e nell’elmo che, non già il Greco ma egli, avrebbe primo fatto di metallo.
Così Giuseppe Pitrè, nel 1889, elogiava Liberto Canino come un innovatore rivoluzionario, un Robespierre, del teatro dei pupi a Palermo. A partire dal capostipite, generazioni di pupari della famiglia Canino sono divenute protagoniste di una forma d’arte in cui s’incontrano artigianato plurimo (legno, stoffa, metalli, pittura), cultura orale e tradizione teatrale. L’identità dell’arte pupara firmata Canino è incisa nelle armature di pupi come Carinda, Orlando, Rinaldo, Blasco e si esprime nella “cultura della mano” di Luigi e di suo figlio Gaspare ad Alcamo, nella potenza recitativa del maestoso puparo Nino di Termini e del nipote, cavaliere Nino Canino, di Partinico, fino ad arrivare alla rivalutazione 2.0 dei pupi di famiglia da parte delle sorelle Maria Pia e Laura Canino, figlie del cavaliere, impegnate in pratiche varie di turismo esperienziale. Un patrimonio storico inestimabile da conoscere, valorizzare ed attualizzare, oggi più che mai.
Francesco Viola, docente di lettere a Bologna, è esperto in didattica speciale e interprete Lis. Si è occupato di storia delle tradizioni popolari locali a Partinico (Palermo) e di teatro tradizionale siciliano, sia d’attore (Angelo Musco, Giovanni Grasso, Gilberto e Alessandro Idonea) sia di figura (Opera dei pupi).
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